Avendo vissuto
per anni nel Valdarno, conoscevo già il Castello di Sammezzano,
autentico gioiello architettonico in stile orientalista ubicato nel
territorio comunale di Reggello, in località Leccio; un grande
edificio al centro di un parco ottocentesco altrettanto
straordinario ed insolito per la varietà di specie esotiche
presenti.
E spesso, discorrendo con gli amici, rammentavo questo luogo
definendolo fantastico, straordinario, una strana presenza,
un’anomalia in una terra così intrisa di arte rinascimentale.
Purtroppo, però,
nonostante la mia grande curiosità ed interesse per questo luogo,
non avevo mai avuto modo di visitare internamente la Villa-Castello
di Sammezzano, essendo l’edificio non più accessibile al pubblico da
almeno venti anni.
Finalmente, però, l’occasione propizia si è presentata grazie alle iniziative connesse con le celebrazioni del bicentenario
della nascita del Marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona,
nato a Firenze il 10 marzo del 1813 e morto a Sammezzano il 18
settembre del 1897, che in circa quarant’anni trasformò
completamente questo edificio.
Castello di Sammezzano
Nell’aprile del 2012, infatti, si è costituito il Comitato FPXA
1813-2013 (FPXA sarebbe l'acronimo di Ferdinando Panciatichi Ximenes
d’Aragona), con l’intento di promuovere e valorizzare la
Villa-Castello ed il Parco di Sammezzano, nonché di approfondire gli
studi su questo grande uomo di cui, ingiustamente ed
incredibilmente, si conosce ben poco.
Grazie al citato comitato, infatti, ed alla collaborazione della
Sezione Soci della Coop di Figline Valdarno, il 15 giugno 2013 è
stato per noi possibile effettuare una vista straordinaria
all’interno di questa straordinaria struttura.
Il Castello di Sammezzano affonda le sue radici nel basso medio evo.
Tracce della sua esistenza risalirebbero addirittura al 790, quando
fungeva da vero e proprio maniero. Successivamente, il Castello subì
molte modifiche, fino ad essere trasformato in Villa. Nel 1605 fu
acquisito dai Ximenes d’Aragona, quindi ereditato dal Marchese
Ferdinando Panciatichi d’Aragona che, nel periodo dal 1853 al 1889,
trasformò completamente l’edificio, imprimendogli uno stile
architettonico spiccatamente moresco. Ingegnere, architetto e
botanico, seppure senza alcuna laurea, il nobiluomo progettò,
finanziò e costruì personalmente la sua dimora, realizzando in loco
ogni manufatto necessario. Seppure non si fosse mai recato
personalmente in Oriente (pare che egli abbia visitato solo Parigi e
Londra), il Marchese fu un gran conoscitore dell’arte e della
cultura di quei popoli, tanto da essersene innamorato e da volersene
circondare. Nacque così l’ispirazione e la passione per tale stile
architettonico, che in Europa, in passato, aveva raggiunto il suo
culmine nell’Alhambra di Granada, in Andalusia, in Spagna. Ed
infatti, è soprattutto da quel luogo che egli trarrà spunti ed
ispirazione, dagli stucchi, dalle merlature, dalle ceramiche
policrome utilizzate nel Palacios Nazaries. Ma nella realizzazione
delle sale interne al Palazzo, molto frequenti risulteranno anche i
riferimenti architettonici alla lontana India ed alla sua cultura.
Il risultato sarà straordinario, ma poco apprezzato dai
contemporanei. Infatti, il Panciatichi sarà considerato un eclettico
visionario, mentre il suo Castello sarà definito un capriccio di un
uomo ricchissimo, l’opera insensata di un pazzo, di poco valore
artistico ed architettonico, un guazzabuglio di stili impuri, privi
di connessione col territorio. E tale sarà considerato anche in
futuro, anche dallo Stato, che ignorerà il Panciatichi e la sua
straordinaria dimora anche dopo la sua scomparsa.
Il Castello, infatti, nel dopoguerra fu utilizzato anche come
Albergo di lusso, fino poi a cadere in stato di abbandono. Nel 1999,
infine, fu bandito all’asta ed acquisito da una società
italo-inglese, che si premunì solo di eseguire alcuni urgenti e
necessari lavori di restauro. Dopo di ché, la struttura da circa 20
anni è rimasta chiusa al pubblico, in attesa di altra destinazione
d’uso o di investitori disposti a riqualificarla.
Il Comitato FPXA 1813-2013, dunque, al momento, collabora con
l’attuale proprietà affinché sia il Castello sia il parco siano
giustamente valorizzati e pubblicizzati, per rendere giustizia ad un
siffatto patrimonio culturale, artistico ed architettonico che,
nonostante tutto, è già sufficientemente noto ai più attenti.
Infatti, ogni qual volta il Comitato riesce ad organizzare delle
visite straordinarie al Castello, vi è un gran numero di persone che
accorre anche da oltre i confini regionali.
Il Parco ottocentesco di Sammezzano -
Leccio
Riguardo alla visita, come concordato con gli organizzatori, ci
siamo ritrovati presso il parcheggio dell’outlet The Mall a Leccio
nel primo pomeriggio. Noi siamo giunti in loco con un po’ di
anticipo rispetto all’ora prevista, quindi ne abbiamo approfittato
per prendere un buon caffè, dopo il quale ci siamo trasferiti al di
là della strada, all’inizio della salita al Castello.
Dopo aver provveduto al pagamento di un contributo di 5 €., gli
organizzatori hanno invitato tutti i visitatori, circa un centinaio,
a dividersi in due gruppi, che sarebbero partiti a breve distanza
tra loro, accompagnati da Lucia e Giuliano, due preparatissime,
gentilissime ed appassionate guide, appartenenti all’Associazione
gECO Attività Ambientali.
Tuttavia, dato che gran parte dei presenti si erano accodati al
primo gruppo, che pertanto risultava evidentemente numeroso, abbiamo
deciso di attendere la partenza del secondo gruppo, che invece non
contava più di 20 persone, compresi noi 6, Antonella, Fernando,
Gianna, Nicla, Paola e Nicola.
Era una splendida giornata di sole, ma la passeggiata lungo la
strada sterrata che ci avrebbe condotti al Castello risultava
piuttosto faticosa, non tanto perché in salita, quanto per l’elevata
temperatura; infatti, si sudava non poco!
Lungo il cammino, Giuliano, la guida ambientale del nostro gruppo,
di tanto in tanto si soffermava e ci illustrava le variètà botaniche
presenti attorno a noi, molte delle quali, soprattutto quelle
esotiche, furono introdotte nel parco dal Marchese Ferdinando
Panciatichi a partire dalla metà del XIX secolo. Le più particolari
e straordinarie per la loro bellezza e maestosità sono senz’altro le
sequoie, alcune delle quali andrebbero annoverate come veri e propri
monumenti botanici; nel parco, ben 57 superano i 35 metri ed il loro
fusto ha un diametro impressionante. Infatti, questo risulta essere
il gruppo più numeroso di sequoie giganti presenti in Italia ed il
terzo in Europa dopo quelli presenti in Austria ed in Scozia. Lungo
il nostro itinerario abbiamo incontrato anche due sequoie gemelle:
impressionanti, maestose, immense! Nel parco, il Marchese introdusse
ben 134 diverse varietà botaniche esotiche provenienti da più paesi
e continenti, delle quali, già prima della fine dell’ottocento,
purtroppo, ne erano sopravvissute non più di 37.
Visita del Parco
Molte di esse non ebbero
lunga vita, in quanto non riuscirono mai ad adattarsi
all’ambiente in cui furono introdotte. Altre, invece,
evidentemente, trovarono in questo luogo, tra le balze, il
loro habitat ideale, grazie alla presenza di un particolare
microclima solitamente tipico delle coste mediterranee. E’
questo, infatti, il motivo della presenza di varietà
botaniche che altrimenti sarebbe più facile trovare in
prossimità del mare e in luoghi più caldi, come i cedri
dell’Atlante o i cedri del Libano, palme, cipressi di lawson
e varie resinose americane.
Ma oltre a varietà più esotiche, nel parco sono
presenti anche piante più comuni in questo territorio, come lecci,
abeti, pini, tigli, frassini, querce da sughero etc.
Passo dopo passo, foto dopo foto, abbiamo raggiunto il ponticino, in
stile moresco, a forma di ferro di cavallo, con le pareti laterali
rivestite con piastrelle in terracotta, costruito su una delle
strade principali che conducono al Castello. Peccato che anche
questa via di collegamento oggi sia in uno stato di totale degrado
ed abbandono, tanto da risultare inagibile e, pertanto, recintata.
Nei pressi del ponte una breve scalinata, ricavata con dei rami
conficcati nel terreno, ci consentiva di raggiungere nuovamente la
strada sterrata poco più in alto, da cui, proseguendo, dopo un po’
si giungeva ad un ampio prato. Qui, la vegetazione, fino ad allora
molto fitta, di colpo si interrompeva, lasciandoci inaspettatamente
di fronte ad uno spettacolo straordinario: sulla nostra sinistra si
stagliava nella sua meravigliosa maestosità il Castello di
Sammezzano. Sul poggio, in fondo all’ampio prato, l’immensa,
straordinaria facciata del Castello, al centro della quale dominava
la grande torre-portale, con una doppia scalinata di accesso al
piano nobile.
Ci siamo soffermati alcuni istanti, stupefatti, a bocca aperta.
Da quella distanza non appariva neanche decadente, abbandonato al
suo destino. Solo avvicinandoci abbiamo notato i primi segni del
tempo, dell’incuria, dell’abbandono e dell’opera dei vandali.
Manufatti in terracotta strappati dai muri, alcuni vetri rotti,
intonaci cadenti. Dalla sommità della torre si notava anche un pezzo
consistente della cornice in terracotta mancante, evidentemente
staccatosi.
Giunti in prossimità dell’ingresso, abbiamo atteso che il gruppo che
ci precedeva concludesse la visita all’interno del Palazzo. Abbiamo
atteso circa 10 minuti, molto utili per riprendere fiato, all’ombra,
seduti sui gradini della scalinata che conduceva al piano superiore.
Quando finalmente è giunto il nostro turno, siamo
stati invitati ad entrare nel Castello attraverso un grande
ingresso a ferro di cavallo posto al piano terreno, al
centro della doppia scalinata. All’interno la temperatura
era molto gradevole.
Nell’ampio ingresso
vi erano varie nicchie ricavate nelle pareti, tutte vuote; pare che
tutti gli arredi, opere, suppellettili e quant’altro sia stato
venduto ovvero trasferito nei palazzi fiorentini dei Panciatichi-Ximenes.
Attraverso delle scale interne siamo saliti al piano superiore
(piano nobile), quindi siamo entrati in una prima sala, detta delle
colonne, nella quale tutti mostravamo stupore ed ammirazione. Sulla
parete vi era scritto “NON PLUS ULTRA”. Qui, una nuova guida,
Massimo Sottani, presidente del Comitato FPXA, nonché persona
appassionata e preparatissima sulla vita del Marchese Ferdinando
Panciatichi e sul Castello-Villa di Sammezzano, ha iniziato a
descriverci dapprima la straordinaria personalità dell’uomo che ha
progettato e realizzato tutto ciò, poi ha continuato con la
narrazione della storia del Castello, delle sue origini, delle sue
destinazioni successive e dello stato di oblio e di decadenza in cui
attualmente esso è ingiustamente ed incredibilmente finito.
La visita è proseguita attraverso le numerose sale ideate e
realizzate direttamente dal Panciatichi che, seppure accomunate dal
medesimo stile architettonico neomoresco, risultano essere tutte
diverse tra loro ed ispirate a Paesi e culture lontane, ma che qui
si incontrano e convivono tra loro.
Proseguendo, abbiamo visitato la Sala Bianca, che ricorda molto
l’Alhambra di Granada, la Galleria fra la Sala degli Specchi e
l’ottagono del Fumoir, la Sala dei Pavoni, nella quale vi è un
impressionante esplosione di colori, la Sala dei Gigli, delle
Stalattiti, dei Bacili spagnoli e degli Amanti. Ed infine, anche una
piccola cappella.
Sala delle Colonne - Sala dei Pavoni -
Sala da bagno
Abbiamo seguito un percorso lungo il quale siamo rimasti davvero
impressionanti dalla bellezza e dalla rarità artistica ed
architettonica, affascinati dai colori e dalla luce, da tanta
perfezione.
E mentre i nostri occhi restavano ipnotizzati da tanta bellezza,
Massimo Sottani, la nostra guida, lungo il percorso ci erudiva sullo
stile, sulla simbologia, e sulle frasi del Panciatichi scritte
attorno o sotto i portali, oppure sulle pareti o sulla sommità di
finestre. Frasi che lasciano intendere quanto il Marchese fosse
incompreso e non apprezzato a quei tempi (NOS CONTRA TODOS – TODOS
CONTRA NOS), oppure della considerazione che egli avesse per la
politica, dopo essersi dimesso da deputato del Regno d’Italia nel
1867 (Mi vergogno a dirlo, ma è vero, l’Italia è in mano a ladri,
meretrici e sensali, ma non di questo mi dolgo, ma del fatto che ce
lo siamo meritato). Frasi che fanno riflettere sulla lungimiranza di
quest’uomo davvero geniale.
La facciata posteriore del Castello di Sammezzano
Alla fine, ci siamo resi conto che Sammezzano, oltre ad essere un
luogo incredibile, di straordinaria bellezza, è anche un luogo di
riflessione, di incontro di culture e di religioni, di vicinanza.
Sammezzano è un ponte verso l’oriente. Tutto ciò che è bello, di
dovunque esso sia, in questo luogo diventa sintesi e si
materializza, manifestandosi senza alcun pregiudizio, senza
frontiere o ostacoli.
Un luogo dove anche le tre religioni monoteiste trovano un punto di
incontro, com’è facilmente intuibile nella piccola e semplice
cappella presente nel Castello, in cui assieme ad un piccolo altare,
un monoblocco in terracotta costruito nella fornace del Parco, ed un
crocifisso, (che però è posto in secondo piano), convivono altri
simbolismi riconducibili all’Islam e all’Ebraismo. Tali vogliono
essere, per esempio, il triangolo presente sotto la croce
sull’altare, elemento universale che vuole simboleggiare il ritorno
all’unità primordiale, o la scritta Dio è Grande, sulla parete
dietro l’altare, frase comunemente utilizzata nella religione
islamica. Peraltro, tenuto conto che il Panciatichi non ebbe un buon
rapporto con la Chiesa Cattolica, parrebbe strana la presenza di una
cappella nella sua dimora. Tuttavia, alla luce della simbologia
utilizzata in questo piccolo luogo di culto privato, io sarei
propenso a pensare che il Marchese fosse un agnostico, cioè che
credesse in Dio, ma in un Dio universale, punto di incontro e di
origine delle tre grandi religioni.
Al termine della visita abbiamo lasciato il Castello con un pizzico
di malinconia, delusi dal totale disinteresse delle istituzioni per
un Edificio di così straordinaria ed unica bellezza, lasciato in
stato di totale abbandono ed in mani private.
Ma del resto, quello di Sammezzano non è l’unico esempio in tal
senso. La cultura in Italia è considerata un fardello, non certo un
investimento. In Paesi più civili ed intelligenti, invece, si
valorizzano anche semplici sassi! Che rabbia!
E mi rifiuto di ascoltare le voci di quanti, accreditandosi come
critici d’arte, definiscono questo luogo di scarso valore artistico
ed architettonico, asserendo che, in realtà, in esso vi sarebbero
stati riprodotti vari stili architettonici, provenienti da diverse
culture, prive di un comune denominatore e senza alcuna connessione
diretta con il territorio e la popolazione autoctona.
La bellezza è arte! La perfezione è arte! E meritano rispetto.
E ciò che il Marchese Panciatichi ci ha lasciato in eredità è
davvero grande, straordinario, è bellezza, è arte. E merita di
essere patrimonio pubblico.