Dopo aver
scattato un bel numero di foto, siamo usciti dal mercato ed
abbiamo attraversato la strada, quindi siamo entrati nella
Lonja.
Il
Palazzo della Lonja de Seda (ingresso gratuito), fu
costruito nel XV secolo, ovvero nel periodo più fiorente per
la città, in un elegante stile gotico.
Appena entrati ci siamo ritrovati in una grande sala con
numerose colonne tortili, a spirale, che raggiungendo il
soffitto a volte si ramificavano assumendo le sembianze di
alberi, di palme, ma che in realtà pare volessero
rappresentare fasci di seta. Sotto i nostri piedi, un
bellissimo pavimento marmoreo. Questa era la sala dove
avveniva la contrattazione della seta, tessuto di grande
pregio e valore a quell’epoca. Attraverso una porta, siamo
giunti in una sala più piccola, più rinascimentale.
Quest’ala del palazzo, infatti, ospitò successivamente la
prima banca dell’era moderna in città.
Grandi finestre ed una porta guardavano un giardino interno
al palazzo, ove vi erano aranci ed altre piante. Dal
giardino, attraverso una scala in pietra, siamo giunti ad
un’altra sala ubicata al piano superiore, sempre in stile
rinascimentale, anch’essa molto bella.
Tornati al
piano inferiore, ci siamo seduti un attimo, nei pressi di un
grande finestrone, per riprendere fiato. Poi, siamo stati
letteralmente accerchiati da una scolaresca in visita alla
Lonja, quindi abbiamo preferito abbandonare il Palazzo.
In strada,
dopo pochi minuti, ci siamo resi conto di non avere più con
noi la macchina fotografica. Riflettendo, abbiamo realizzato
che non potevamo che averla dimenticata nel Palau de la
Lonja de Seda, lì dove ci eravamo seduti. Siamo tornati
subito sui nostri passi, abbiamo raggiunto quel luogo, ma
nulla! Chiaramente, non sarà passata inosservata a qualcuno
di quei ragazzi sopraggiunti quando eravamo lì. Abbiamo
provato a chiedere al personale di custodia al Palazzo, ma
non sapevano nulla. Quindi, ci siamo messi l’anima in pace e
siamo andati via.
La macchina
era una compatta di medio valore. Ma più che altro, eravamo
scocciati per aver perso le foto scattate la sera prima e
nella mattinata. D’altronde, meglio che sia successo il
primo giorno!
Ora, non ci
restava che procurarci subito una nuova compatta.
Ripartendo da Plaza de Mercado, siamo giunti a Plaza
Ayuntamiento (Piazza del Municipio), diretti verso
il nostro alloggio. Lungo la strada abbiamo visto un
negozio, uno studio fotografico che esponeva in
vetrina alcune macchine fotografiche. Una compatta
sembrava essere una buona occasione, in quanto in
offerta. In omaggio c’era anche la doppia batteria.
Non ci abbiamo pensato due volte. |
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Prima di
tornare a casa siamo entrati in un piccolo supermarket, dove
abbiamo
acquistato
un boccione da 5 l. di acqua (soluzione certamente più
economica, per evitare di spendere 3-4 euro al giorno solo
per dissetarsi), del prosciutto serrano e del formaggio
caprino, quindi siamo rientrati a casa. Dopo pranzo, io ho
velocemente provato le funzionalità della nuova macchina
fotografica, quindi siamo subito ripartiti.
Chiaramente,
ci eravamo premuniti di una cartina della città, su cui
avevamo indicato tutti i siti di interesse turistico da
visitare. Alcuni avevano una priorità maggiore, altri li
avremmo visitati solo nel caso avessimo avuto ulteriore
tempo. Quindi, non giravamo mai a caso; avevamo sempre un
sito da raggiungere. E mentre ci dirigevamo verso la nostra
meta successiva, ci siamo trovati davanti ad un cartello
indicante “Palau del Conte de Cervellò, che seppure
non lo avessimo mai sentito rammentare prima, ci ha
incuriosito. Ci siamo affacciati al suo interno, dove si
apriva un grazioso patio. In seguito ne avremo visti altri,
altrettanto belli ed anche di più raffinati e
caratteristici. Più avanti, siamo entrati nell’“Iglesia
di San Juan del Hospital”, una bella chiesa in stile
gotico. Quindi, proseguendo tra viuzze strette ed altre più
ampie, abbiamo raggiunto il fulcro del centro storico
valenciano, ovvero la Cattedrale e l’attigua Basilica de la
Virgen de los Desamparados, davanti alla quale si
apre l’omonima piazza. Tutt’attorno al complesso della
Basilica e della Cattedrale, tanti eleganti ed importanti
palazzi signorili.
Siamo
entrati nella Basilica.
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La Basilica de la Virgen de los Desamparados
è una chiesa non molto grande, ma che rappresenta un
antico simbolo della storia valenciana. Essa fu
edificata nel XVII sec., per ordine di Filippo IV,
in onore della “Vergine”, a cui erano state
attribuite numerose guarigioni in seguito alla peste
che in quell’epoca aveva messo a dura prova la
città, così come l’intera Europa. Come luogo, fu
scelto un antico foro romano, accanto alla
preesistente Cattedrale, a cui, peraltro, è
collegata. |
Alcune
testimonianze della sua origine sono rilevabili nella
facciata principale della Basilica, in alcune lapidi che
riportano iconografie ed iscrizioni romane, evidentemente
appartenenti ad edifici o monumenti preesistenti in quel
sito.
La chiesa,
non a caso, fu edificata a forma ovoidale, in quanto tale
forma è riconducibile al simbolismo della Vergine Maria.
Inizialmente molto sobria, per motivi di economicità, fu
successivamente arricchita con ornamenti rinascimentali e
poi con altri più sontuosi in stile barocco.
In fasi
successive fu anche ampliata, mediante la costruzione della
Cappella Reale (1652-1666) e l’aggiunta di una nuova
costruzione a forma di croce greca, con architettura di tipo
obliquo, denominata “El Camarin de la Virgen”.
Inoltre, nel 1701, in piena epoca barocca, fu edificata una
nuova cupola, mentre allo stesso periodo risalgono numero
opere pittoriche attribuite ad
Antonio Palomino.
Ulteriori interventi successivi hanno aggiunto ulteriore
valore artistico all’intera struttura, oggi ben apprezzabili
grazie a recenti opere di restauro.
Usciti dalla Basilica de la Virgen, abbiamo attraversato la
piazza antistante, quindi siamo sbucati in Plaza de la
Reina, su cui si affaccia la grande Cattedrale,
risalente al XIII secolo, seppure evidentemente rimaneggiata
in periodi successivi. Infatti, già i suoi tre portali
evidenziano tre distinti stili: la Puerta del Palau,
che si apre in calle del Palau, vicino all’elegante palazzo
dell’arcivescovado, è chiaramente in stile romanico, mentre
la Puerta de los Apostoles, che si apre in Piazza de
la Virgen, è gotica. L’ultima, invece, più recente, la
Puerta de los Hierros, risalente al XVIII sec., che
resta più vicina alla torre campanaria, è barocca.
L’edificio sorge in un sito della città in cui vi
era già un edificio sacro, una moschea, abbattuto
alla fine dell’epoca di dominazione araba, per
simboleggiare la ritrovata identità cattolica della
popolazione.
Vicinissima alla Cattedrale vi è anche l’annessa
torre campanaria, chiamate “Miguelete”, alta
50 mt., visitabile (262 gradini), sovrastata da ben
11 campane tuttora funzionanti, alle quali,
curiosamente, sono stati dati nomi femminili. |
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Entrati
all’interno della Cattedrale (è
previsto un modesto ticket), siamo stati colpiti
dalla tanta luce calda che filtrava dalle grandi finestre in
alabastro e dai dipinti e dai quadri, che erano praticamente
dappertutto. Tutto il perimetro della chiesa era costituito
da cappelle private, appartenute ad influenti famiglie. In
una di esse, in particolare, appartenuta ad un ramo locale
della famiglia Borgia, vi erano anche dipinti del Goya.
Tornati
fuori, abbiamo ammirato il Miguelete, l’alta torre
campanaria, ma dopo uno sguardo loquace, abbiamo deciso di
non affrontare i suoi 262 gradini.
Abbiamo
passeggiato ancora per le vie del centro, finché non si è
fatto buio. Intanto, eravamo lungo l’itinerario delle
antiche mura urbane, abbattute nel XIX sec., presso
Torres de Quart (le Torri di Quart), o Porta di Quart (XV
sec.). Queste, con Porta de Serrans, costituiscono un
interessante esempio di architettura militare dell’epoca.
Infatti, tale tipo di architettura, realizzata in stile
tardo gotico, fu presa ad esempio nella realizzazione di
altre opere, risalenti allo stesso periodo, anche in Italia,
come nel caso di Porta Soprana a Genova o ancor più nella
torri del Maschio Angioino a Napoli, realizzate, appunto, da
maestri aragonesi.
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Oltre che per usi militari, le torri, nel XVII sec.,
ospitarono anche un carcere femminile. Oggi,
chiaramente, sono monumento nazionale, facenti parte
del patrimonio storico-culturale della Spagna.
Intanto, ormai era quasi ora di cena e, comunque,
eravamo abbastanza sfiniti. Quindi, abbiamo
raggiunto il ristorante Forcat, nei pressi
delle Torres de Quart, e lì, finalmente, ci
siamo rilassati. Il Forcat l’avevamo
selezionato già prima di partire, leggendo svariate
recensioni su Internet. |
Questo
risultava un ristorante molto raccomandato, dove sarebbe
stato possibile mangiare una buona paella espressa,
un’ottima sangria, ma anche tanti altri piatti della
tradizione valenciana. Peraltro, essendo ubicato nel centro
storico, era anche molto apprezzato e frequentato da
studenti universitari.
Riguardo
alla paella, ritengo opportuno spendere alcune righe. Nato
come piatto povero, che un tempo veniva preparato
utilizzando tutti gli avanzi presenti in casa, nel tempo ha
subito molte varianti ed evoluzioni. La vera paella
“valenciana” è solo a base di carne e di verdure, ma
altrettanto buona è la variante a base di pesce, chiamata di
marisco. A volte è possibile trovare anche la paella mista
(carne, verdure e pesce), ma quella è roba destinata ai soli
turisti, che un valenciano non mangerebbe mai. Solitamente è
un piatto preparato a pranzo, ma ormai, nei ristoranti, su
richiesta viene preparato anche a cena. La paella che noi
più preferiamo è quella di pesce, detta, appunto, di marisco,
che può contenere cozze e/o vongole con guscio, gamberi,
seppia, e pezzetti di pesce, come ad esempio il filetto di
salmone, di pesce spada, tonno o anche altro, purché privo
di lische (per la ricetta, vi rimando al seguente link).
Preparare la
paella è semplicissimo, ma sono necessari almeno 30 minuti.
E non è un piatto che può essere preparato in anticipo, in
quanto, raffreddandosi, diventerebbe una poltiglia, tutto un
pezzo, un mattone.
Quindi, se
in un ristorante viene servita in tavola in 10-15 minuti,
significa che non è stata preparata al momento, oppure che
è roba surgelata o un avanzo scaldato e portato in tavola.
Per quella espressa, bisogna avere un po’ di pazienza!
Da Forcat,
però, non abbiamo ordinato la paella. Per quella, avevamo
scelto un altro ristorante, indicato e raccomandato da
tanti.
Quindi,
consultando il menu, la scelta è ricaduta su un altro piatto
tipico valenciano, la fideuà, accompagnata da un gran bel
boccale di sangria. La fideuà, in realtà, non è altro che
una variante della paella di marisco, ossia a base di pesce,
nella quale il riso è sostituito dalla pasta di piccolo
taglio (tipo spaghettini lunghi circa un centimetro). La
cameriera, gentilmente, ci ha avvertito che avremmo dovuto
attendere un po’, perché la preparazione delle fideuà
avrebbe richiesto almeno una mezzora. Ma questo l’abbiamo
considerato un buon segno, perché significava che
l’avrebbero davvero preparata al momento. E poi, tanto non
avevamo alcuna fretta.
Però, nell’attesa, la sangria andava giù, e si
sentiva! Soprattutto io, come la sentivo! Però,
buona!
Poi è arrivata in tavola una gran bella padella,
bollente: finalmente la fideuà!
Aveva un bell’aspetto,
accattivante, invitante, se non altro perché ormai
avevamo una fame da lupi.
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Alla fine, nella padella
non c’è rimasto nulla. E meno di nulla nel boccale
della sangria.
Soddisfatti e sazi,
non c’è rimasto altro che chiedere la cuenta.
Siamo andati dritti a casa; una bella doccia, poi
finalmente a letto.
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