Della tarantola e del suo morso velenoso si parla per la prima volta intorno all'anno mille nella "Historia Sicula" di Goffredo Malaterra che descrive come durante l'assedio di Palermo, che all'epoca era dominata dagli arabi, l'esercito dei normanni fu vessato dalle tarante e dovette curarsi con la pratica del forno caldo.
In un documento successivo relativo alla prima crociata si racconta di nuovo di soldati morsi in Siria da tarante e di come l'unica cura efficace per liberarsi dal veleno fosse di giacere con donne anch'esse
tarantolate.
Nel "Sertum papale de venenis" del 1362, sorta di ricettario medico per la cura di vari tipi di avvelenamento, si parla per la prima volta della musica come rimedio contro il tarantismo. Vi si narra come la credenza popolare sostenesse l'esistenza di vari tipi di tarantola, ognuna delle quali al momento del morso avrebbe emesso una melodia particolare; il morsicato sarebbe guarito solo danzando al suono della melodia specifica. Dal punto di vista medico si credeva invece che la musica agisse sull'equilibrio dei quattro umori ippocratici (sangue, flegma, bile gialla e bile nera) e che le differenti sensibilità musicali corrispondessero a differenze individuali nello squilibrio umorale provocato dal morso della tarantola. In tal modo il tarantismo entrava nella letteratura medica mantenendo
però la sua integrità di fenomeno culturale.
Nel '600 gli appartenenti alla scuola medica napoletana iniziarono a sospettare che nel tarantismo entrassero fanatismo e superstizione; Giorgio Baglivi volle distinguere due forme: il tarantismo autentico generato dal morso della tarantola e guaribile con terapia musicale e quello finto, recitato, che molte donne usavano per dare libero sfogo ai propri istinti repressi.
Nel 1742 Francesco Serao, anch'egli illustre esponente della scuola medica napoletana ,
sfatò definitivamente il mito della tarantola citando esperienze di colleghi medici che si erano lasciati mordere dal ragno lycosa tarentula senza nessuna conseguenza, sottolineando come in Puglia qualsiasi malessere esistenziale fosse attribuito a morso di taranta, notando come non ci fosse accordo neanche sull'effettiva identità della tarantola (ragno, scorpione o lucertola); la conclusione del Serao era che i pugliesi quando erano ridotti a mali estremi ricorrevano all'istituto del tarantismo, erede degli antichi culti orgiastici.
Se in campo scientifico l'enigma del tarantismo sembrava risolto definitivamente, la credenza popolare sopravisse ancora a lungo integrata proprio nel '700 dal culto di
S. Paolo protettore dei tarantati.
|