Nel 1959 Ernesto De Martino, considerato
tuttora il più importante antropologo italiano, si recò nel Salento
accompagnato da uno psichiatra, uno psicologo, un musicologo ed un sociologo per verificare sul campo
ciò che sopravviveva ancora del tarantismo; essendo anche un preparatissimo storico delle religioni
tentò un'analisi del fenomeno dal punto di vista storico, culturale e religioso; i risultati della sua ricerca furono pubblicati nel volume "La terra del rimorso"
che rappresenta ancor'oggi l'opera più valida e completa scritta
sull'argomento.
LA TARANTA IN AZIONE
De Martino descrive in modo dettagliato l'ambiente cerimoniale e le varie fasi della cura domiciliare:
…il vano, l'unico della miserabile dimora, riceveva luce dalla porta... Addossato alla parete di fronte all'ingresso vi era un letto, il cui piano si inclinava verso il pavimento, come per favorire lo scivolare al suolo di qualcuno... accanto al letto, quadri di
S. Paolo… e una boccia della miracolosa acqua di S. Paolo, attinta dal pozzo di Galatina... per delimitare il perimetro cerimoniale della danza, un ampio lenzuolo copriva il pavimento… tutt'intorno erano disposti sedie e scanni, per i suonatori e per il pubblico… sul lenzuolo, in un angolo, un cestino per la raccolta delle offerte (per pagare i suonatori ed omaggiare
S. Paolo di Galatina a guarigione avvenuta)... ai primi accordi dei suonatori, la tarantata
restò immobile sul letto, ma al prorompere della tarantella un grido altissimo accompagnato dall'inarcarsi del corpo a ponte,
sottolineò l'apertura della giornata rituale... il ponte durò qualche secondo, poi la tarantata
tornò supina, ma era ormai invasa dall'onda sonora… sciolta per la danza. Il piano inclinato del letto
facilitò il suo scivolare a terra… la tarantata cominciava a strisciare sul dorso… la testa continuava a battere violentemente il tempo... compiva
così, a braccia allargate, qualche giro nel perimetro cerimoniale: poi improvvisamente, si rovesciava bocconi, le gambe divaricate immobili, le braccia piegate ora sotto e ora davanti al busto, la testa sempre in moto ritmico con la gran chioma in tempesta… queste figure mimavano un essere incapace di stazione eretta, cioè la taranta… A questo momento di identificazione col ragno, seguiva l'altro di distacco agonistico: la tarantata si levava in piedi di scatto, e percorreva più volte il perimetro cerimoniale con un vibrante passo saltellato semplice o doppio, eseguito per qualche tratto anche da ferma… e componendo alcune figure della tarantella tradizionale, mediante un fazzoletto colorato che aveva nelle mani… Dopo una durata variabile... non superiore al quarto d'ora, l'intero ciclo coreutico volgeva al termine… la stabilità diventava incerta, il ritmo non era più seguito con rigore, e tutto si concludeva con un frenetico caracollo, annunziante la prossima caduta… le assistenti, a braccia allargate si stringevano intorno per accoglierla quando la caduta aveva luogo. L'orchestrina sospendeva di suonare, alla tarantata erano portati un cuscino per poggiarvi la testa e un bicchiere d'acqua… poi, dopo una pausa di circa dieci minuti, l'orchestrina riprendeva l'iniziativa ed il ciclo si ripeteva… A un certo momento della vicenda, si
affacciò alla porta un giovane con una maglia a fasce rosse e gialle: subito la tarantata che stava eseguendo la fase in piedi
entrò in agitazione… sbandava qua e là come ebbra, e l'orchestrina suonava ormai a vuoto… i familiari cominciarono a lanciare sulla tarantata dapprima un nastro giallo, senza ottenere nessun effetto e poi un nastro rosso, che si
rivelò pertinente… lo afferrò selvaggiamente... lo fissò… come per assorbire il colore, e infine lo straccio con i
denti… tornò quindi ad immettersi nell'orbita regolare della sua prestazione… lasciando che l'orchestrina riprendesse su di lei signoria e guida… L'esorcismo coreutico-musicale-cromatico
terminò verso sera per stanchezza dei suonatori… la tarantata fu trasportata a letto, dove giacque a occhi chiusi… rispondeva talora alle domande dei familiari "Come ti senti ?"; "Meglio"; "Ti ha parlato il Santo?"; "Non ancora": "Ti parlerà stanotte"; "Non so";
... La cura avrebbe dovuto continuare l'indomani.
La scena descritta, riguarda Maria di Nardò, una tarantata di 29 anni, raccoglitrice di tabacco e spigolatrice, sposata da 9 anni ad un contadino spesso malato e disoccupato che lei non ha mai amato.
Dice di essere stata morsa per la prima volta dalla tarantola a 18 anni, dopo che un giovane che lei amava, era stato costretto a lasciarla dalla sua famiglia che si opponeva al matrimonio per ragioni economiche.
In seguito, aveva cercato di rifiutare il matrimonio con l'attuale marito sostenendo che
S. Paolo l'aveva chiamata a mistiche nozze con lui.
Infine consentì ma ebbe una nuova crisi e dovette ballare per nove giorni sostenendo che il Santo irritato per il tradimento l'aveva fatta pungere nuovamente dalla taranta.
Da quell'anno Maria mantenne il suo rapporto con la taranta e con il Santo, rinnovando ogni estate crisi e ballo; in
S. Paolo probabilmente sublimava il sogno di ricongiungimento con il suo primo amore che non aveva mai dimenticato; mettendo in difficoltà la vita coniugale e danneggiando economicamente la famiglia non amata che doveva accollarsi ogni anno le spese per l'esorcismo, scaricava la sua aggressività verso il marito e la famiglia che l'avevano costretta ad accettare un matrimonio infelice.
MALATTIA O ISTITUTO CULTURALE?
Le ricerche precedenti avevano sempre considerato il tarantismo come malattia dovuta o a morso del ragno (come anche sosteneva la credenza popolare) o ad una qualche forma di disordine psichico.
L'ipotesi del morso del ragno era contraddetta da molti fattori:
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il ragno lycosa tarentula che più spesso era indicato dalla gente del posto come tarantola, pur avendo un aspetto poco rassicurante, era completamente innocuo;
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il morso di un altro ragno presente nella zona, il latrodectus, causava sintomi simili a quelli riscontrati nei tarantati: caduta al suolo, spossatezza, angoscia ed in seguito agitazione psicomotoria, nausea, vomito ed esaltazione degli appetiti sessuali; tale crisi
però era di breve durata e non trovava alcun giovamento dalla tarantella, mentre nei tarantati veniva curata con più giorni di danza continuata e si ripeteva ogni anno verso la fine di Giugno, in corrispondenza della festa di
S. Paolo protettore dei tarantati;
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alcuni tarantati sostenevano di essere stati morsi dallo stesso
S. Paolo con il quale dialogavano durante la danza al fine di essere liberati dal castigo;
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la maggior parte dei tarantati erano donne che avevano subito delusioni amorose in gioventù o che comunque avevano dovuto sposare uomini che non amavano per risolvere problemi economici della famiglia d'origine;
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i pochi uomini colpiti condividevano con le tarantate la condizione di estrema miseria in cui erano costretti a vivere e comunque una qualche forma di infelicità esistenziale e di disagio sociale;
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l'età del primo morso era sempre durante l'adolescenza in cui probabilmente i giovani tarantati vedevano naufragare i propri sogni d'amore o comunque le migliori aspirazioni di realizzazione individuale;
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spesso i tarantati appartenevano a poche famiglie, per cui doveva intervenire un qualche processo di carattere imitativo;
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infine vi erano nella stessa regione delle zone di immunità in cui si sosteneva che la taranta non mordesse; ad esempio il territorio di Galatina in cui sorgeva la cappella di
S. Paolo dove i tarantati dei comuni circostanti si recavano il 29 Giugno dopo aver eseguito la danza terapeutica presso la propria abitazione o per dibattersi direttamente davanti al santo invocando la guarigione; anche se in chiesa, essendo proibita l'esecuzione musicale, i tentativi di danza degeneravano in vere e proprie crisi isteriche senza soluzione che spesso necessitavano di intervento medico-psichiatrico.
Rimaneva l'ipotesi del tarantismo come semplice disturbo psichico.
Ma, anche se i sintomi iniziali della crisi erano verosimilmente imitati in maniera isterica da quelli causati dalla puntura di latrodectus o da colpo di sole, la notevole complessità dei rituali di danza osservati dalla troupe di De Martino e l'efficacia terapeutica che gli stessi dimostravano nei confronti dei pizzicati, facevano somigliare piuttosto il tarantismo ad una sorta di esorcismo collettivo.
Almeno una volta all'anno il rito faceva si che l'attenzione dell'intera comunità fosse concentrata sui suoi elementi più deboli che potevano in tali occasioni esprimere seppur in maniera simbolica le proprie sofferenze alleviate proprio dalla solidarietà manifestata da coloro che partecipavano al rito.
Anche il nesso tra tarantismo e stagione estiva non era casuale per De Martino: in questa stagione veniva deciso il destino dell'anno, si colmavano i granai, si pagavano i debiti… sul piano simbolico si trasfigurava in un periodo in cui potevano essere pagati anche i debiti esistenziali accumulati nel fondo dell'anima… si otteneva in tal modo il vantaggio di sgombrare i periodi "fuori stagione" dal rischio della crisi… e l'altro vantaggio di dilazionare il pagamento dei debiti esistenziali contratti, in più estati successive.
In effetti nel rito venivano controllate e temporaneamente risolte le crisi esistenziali dei singoli, ma contemporaneamente affrontati ed esorcizzati dubbi, paure e contraddizioni che riguardavano l'intera comunità.
Veniva così affrontato il tema dell'amore precluso per ragioni economiche, della sessualità femminile negata, ma anche quello della rabbia per la millenaria sottomissione a invasori e potenti di turno, la paura delle malattie e quella di un cattivo raccolto che non sarebbe bastato a sfamare l'intera comunità.
Il tarantismo nato nel periodo delle crociate antislamiche e delle terribili epidemie di peste, lebbra e vaiolo si presentava
così come vero e proprio culto religioso atto ad affrontare gli innumerevoli rischi di un divenire quanto mai incerto; numerose trasformazioni e sincretismi avrebbe subito nel corso dei secoli, in seguito al contatto con le altre culture del Mediterraneo.
Alla fine del '700, in seguito alle indagini effettuate dalla scuola medica napoletana, il tarantismo era ormai considerato frutto di superstizioni diffuse tra gli strati più miseri e meno istruiti della popolazione; il declino definitivo
iniziò con l'introduzione del culto di S. Paolo da parte della chiesa cattolica, che considerava il tarantismo, erede dei culti orgiastici pagani dell'antichità.
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