Dopo circa mezzora abbiamo fatto
tappa presso una gioielleria, dove, durante la degustazione di un tè
alla mela, ci hanno mostrato e descritto vari articoli dell’arte
orafa locale; vendevano anche oggetti e souvenir in alabastro.
Alcuni di noi hanno anche acquistato qualcosa.
Dopo la fabbrica di tappeti, questo è stato il secondo sito con
finalità commerciali che abbiamo forzatamente visitato. Chiaramente
non era indicato nel programma indicato dal nostro tour operator.
Quindi, la cosa ci scocciava non poco, dato che non eravamo certo
venuti in Turchia per fare acquisti. Comunque…!
Dopo un’oretta, finalmente siamo riparti alla volta della città
sotterranea.
Giunti in zona, abbiamo visitato uno dei tanti siti, che la guida ci
ha detto di preferire, in quanto tra i meglio conservati e più di
facile accesso ai turisti. Questo ci avrebbe reso l’idea della
funzionalità, dell’utilità e dell’architettura di queste strutture
difensive scavate nel terreno.
Entrati da una porticina collocata sulla parete di una roccia alta
non più di un paio di metri, ripidi scalini ricavati nel tufo ci
hanno condotti nelle viscere della terra, in un ampio locale ubicato
ad alcuni metri di profondità. Da qui, gallerie portavano ad altri
locali, posti su diversi livelli, che fungevano da rifugio, da
magazzini, da stalle e quant’altro. Nelle pareti di alcune gallerie
vi erano larghe fenditure, nelle quali era collocata una ruota di
pietra. Ci è stato spiegato che in caso di necessità o di pericolo,
questa veniva fatta ruotare, spinta da persone presenti nei locali
attigui alla galleria, fino a chiuderne completamento il passaggio.
Le stesse gallerie, in tal modo, potevano fungere da vere e proprie
trappole per il nemico. Alcuni locali erano provvisti di prese
d’aria ed anche di pozzi da cui attingere l’acqua. Non vi era
traccia di opere edificate dall’uomo. Tutto era stato semplicemente
ed unicamente scavato nel tufo. La guida ci spigava che queste opere
di fortificazione avevano soprattutto scopi difensivi, ma venivano
utilizzate anche come stabili dimore delle popolazioni indigene. In
caso di pericolo, queste fungevano da rifugio e qui ci portavano
anche tutti i propri averi, compreso il bestiame. A seconda dei
casi, potevano restarci per pochi giorni, ma anche per mesi.
Infatti, la quantità dei locali e la loro ampiezza rendevano
chiaramente l’idea della quantità di persone e di cose che potevano
starci. Peraltro, queste erano considerate fortificazioni molto
sicure. Infatti, seppure scoperte, non sarebbe stato facile per il
nemico stanarne gli occupanti, che attraverso lunghe gallerie di
collegamento avevano la possibilità di spostarsi anche per centinaia
di metri, lungo direzioni imprevedibili. Anche addentrarsi nel
sotterranei sarebbe stata un’impresa molto ardua per il nemico.
Infatti, esso avrebbe rischiato di restare intrappolato in un
ambiente ostile totalmente sconosciuto.
Infine, tenuto conto della particolarità ed unicità di tali
fortificazioni, il nemico non avrebbe mai potuto immaginare la reale
consistenza di persone, animali e cose celate qui sotto. Quindi,
minimizzando e sottovalutando il tutto, l’aggressore preferiva non
correre rischi, abbandonando presto questi luoghi, saccheggiando
solo quel poco che era stato abbandonato in superficie.
Tornati all’esterno, la guida ci
sottolineava che nei dintorni c’erano tantissime altre
fortificazioni simili, almeno 200 quelle scoperte, molte delle quali
ancora inesplorate o solo parzialmente accessibili. Alcune potevano
raggiungere dimensioni davvero straordinarie, essere capaci di
ospitare migliaia e migliaia di persone ed essere scavate su più
livelli, addirittura 8, fino a raggiungere una profondità di 85
metri.
Queste non erano necessariamente collegate tra loro, anzi! Spesso si
trattava di strutture indipendenti ed isolate dalle altre,
utilizzate da famiglie, gruppi di persone, o dalla gente che viveva
in prossimità delle stesse.
Terminata la vista al sito, ci
siamo incamminati verso il nostro pullman. Nei pressi della zona
archeologica vi erano alcune donne che richiamavano la nostra
attenzione nella speranza di venderci le loro bambole di pezza. Le
avevano fatte con le loro mani. Chiedevano solo un euro.
Sinceramente, mi faceva molta pena quell’evidente disagio culturale
ed economico.
Ripreso il viaggio, ci siamo
diretti, spediti, verso Ankara.
Lungo l’itinerario, per km. e km. abbiamo costeggiato il grande lago
salato, ampio ben 1.500 kmq, lungo 80 km per 50 km di larghezza. La
sua profondità non supera 1-2 metri e per gran parte dell’anno è
completamente asciutto. Dal colore, bianchissimo, sembrava fosse
ghiacciato.
Noi non ci siamo fermati, ma altri
pullman turistici si, se non altro per scattare delle foto. Ma noi
avevamo fretta di raggiungere la capitale! La guida ha precisato
che, in realtà, non era molto interessate e che era certamente più
spettacolare visto dalla strada, dall’autobus, da un punto di vista
più elevato. Ok!
Giunti ad Ankara, la guida ci ha spiegato che la città non ha siti
di particolare interesse turistico. Si tratta, in realtà, di una
città recente priva di monumenti o testimonianze storiche, che negli
ultimi decenni ha vissuto uno sviluppo esponenziale. Qui, gran parte
della popolazione è impiegata nell’ambito delle amministrazioni
pubbliche, governative. In effetti, Ankara è stata proclamata
capitale amministrativa della Turchia solo nel 1923 e, prima di tale
data, questa era una piccola cittadina irrilevante per il Paese. Da
allora, ma soprattutto negli ultimi decenni, in questa città si è
riversata, per lavoro, tantissima gente proveniente dalle più remote
zone rurali del Paese, che pertanto non ha e non sente alcun legame
con la cultura e le tradizioni locali. Per cui, la città, più che
riflettere le tradizioni di questo territorio, evidenzia una
mescolanza delle tante culture e tradizioni presenti nel Paese.
Inoltre, la guida ci ha spiegato che per lo stesso motivo, seppure
il centro cittadino mostrasse grande vivacità durante le ore di
apertura degli uffici pubblici, nelle ore serali e nei week-end la
città risultava priva di vitalità, piuttosto dormiente, in quanto
molta gente abbandonava il centro per raggiungere le proprie
abitazioni ubicate nelle periferie o nelle zone rurali della
regione. Ed anche le stesse grandi e fredde periferie non erano
altro che dei dormitori.
Era chiaro che alla nostra guida, che viveva ad Istanbul, non
piacesse affatto questa città.
Giunti nella Capitale, ci siamo diretti subito al Museo delle
Civiltà Anatoliche, senza dubbio interessante, ma non eccezionale,
se rapportato a tutto il resto che abbiamo visto in Turchia.
|
|
|
Museo della Civiltà Anatolica - Ankara |
Ma va detto che da Ankara dovevamo
comunque passarci, per raggiungere Istanbul, e quindi, tanto valeva
visitare anche questo sito.
Nei pressi del museo abbiamo notato alcuni negozi che esponevano
all’esterno una moltitudine di sacchetti di spezie dalle varie
tonalità cromatiche. Inoltre, vedevamo alcuni stretti vicoli colmi
di botteghe che esponevano ogni genere di articolo ed un brulichio
di gente.
Avremmo desiderato fare un giro
per quelle viuzze, ma niente da fare.
Dopo la visita al museo siamo stati condotti dritti in albergo, come
un gregge nel proprio ovile. Saranno state le 18,00 e ci sarebbe
stato tempo per fare altro, ma la guida ha giustificato tale
decisione col fatto che il giorno successivo sarebbe stato
particolarmente faticoso, sia per il lungo trasferimento ad Istanbul
sia per quanto avremmo visitato, e quindi sarebbe stato meglio
recuperare un pochino le energie. E poi il suo programma non
prevedeva altro. Ed in proposito, nell’anticiparci il programma dei
giorni successivi, egli ci ha riferito che all’indomani avremmo
visitato anche una fabbrica di confezione di abbigliamento in pelle,
mentre non era nel programma la visita alla Cisterna ad Istanbul,
che comunque sarebbe stato possibile visitare nel caso fosse
avanzato del tempo. La Cisterna è un sito assolutamente da non
perdere. Peraltro, tanti di noi desideravano vederla. Quindi,
dispiaciuti, ed anche irritati per quest’ultima anticipazione, se
non che per l’ennesima tappa commerciale imposta dal programma,
anch’essa non prevista dal tour operator, non abbiamo potuto fare
altro che manifestare il nostro disappunto!
L’albergo di Ankara (l’Esemboga Airport) era ubicato nella periferia
della città, nei pressi di uno degli aeroporti cittadini (l’Emboga)
e vicino alla sede della Federazione Turca del Gioco Calcio.
Infatti, nei pressi dell’albergo, nelle vicine rotonde, vi erano due
enormi statue raffiguranti calciatori immortalati, uno durante
l’esecuzione di un cross e l’altro impegnato in una parata.
Anche questo un grande albergo sembrava essere un po’ lontano dal
centro cittadino. Quindi, non risultava affatto agevole per noi
raggiungere autonomamente il centro, magari con mezzi pubblici.
Peraltro, nessuno aveva riferimenti precisi e non avevamo tempo a
sufficienza per organizzarci ed avventurarci in tal senso. E poi, i
discorsi dissuasivi della nostra guida ci demotivavano, in quanto
temevamo di non trovare nulla di veramente interessante in centro,
soprattutto nelle ore serali.
Pertanto, abbiamo preferito seguire il consiglio di rilassarsi in
albergo, cercando di recuperare le energie necessarie per il giorno
successivo.
Tuttavia, dopo cena, alcuni di noi si sono ritrovati nella hall
dell’albergo, chiacchierando del più e del meno, ma anche di alcuni
aspetti poco graditi del programma del tour. Il linea di massima,
tutti eravamo dispiaciuti del fatto che gli alberghi fossero sempre
lontani dai centri abitati, ma soprattutto eravamo irritati per le
visite fuori programma aventi scopo puramente commerciale (la
fabbrica di tappeti, la gioielleria e, all’indomani, ci attendeva la
fabbrica di abbigliamento in pelle). Quindi, una signora, la più
anziana del gruppo, ma vivacissima e simpaticissima, eletta nostra
porta bandiera, si è impegnata a rappresentare alla guida il nostro
disaccordo e contrarietà rispetto a quest’ultimo aspetto.
|